Ciao
Sei arrivato un sabato mattina di Gennaio nel 2001. Dal primo momento in cui ti abbiamo caricato in macchina sei diventato uno di noi, uno della famiglia. E chi, per anni, aveva sempre impedito l’arrivo di un tuo simile in famiglia, è addirittura diventato il tuo migliore amico. Non solo la vecchiaia che avanzava, ora invece galoppa, ma soprattutto tu e il tuo essere così umano, avete fatto il miracolo.
Lo abbiamo capito subito che eri un cane speciale.
Dalla prima sera, quando è bastato darti una piccola sculacciata per farti capire che i bisogni si facevano in giardino, al primo Natale, quando del presepe lasciavi integro tutto, tranne le pecore, che trovavamo mangiucchiate sul tappeto.
Tutti eravamo i tuoi padroni, prima la nonna che seguivi dappertutto, lontano dal bastone, ma vicino a lei. Gli dormivi sui piedi mentre lei cuciva, gli facevi da guardia del corpo nei suoi giretti in giardino, l’hai sostenuta per non cadere e l’hai accudita caduta sul prato. L’hai vista volare via, quel giorno che ti portammo all’hospice a trovarla. Sei entrato, l’hai annusata, ti ha salutato e sei scappato fuori, era presto per quegli odori.
La mamma e la Bitta erano le donne di case, si ascoltavano a prescindere, non viziavano mai, quasi mai, ma la pappa buona arrivava sempre puntuale nella ciotola e dal tavolo, qualcosina, arrivava sempre.
La Sara l’hai trainata su per i Bagnadori che era incinta e quando andava in cucina eri la sua ombra, mai insistente ma sempre presente.
Fabio, il nuovo arrivato, mai hai provato anche solo a dargli la zampa, lo annusavi e ti facevi fare di tutto.
Beppe era sempre via all’inizio e sempre a casa alla fine. Dove andava lui, andavi tu. Dalla nonna sei passato al nonno. L’inflessibile ragioniere, a cui a tavola mettevi la zampa nel piatto e abbaiavi nelle orecchie, anche dopo l’operazione alla trachea.
Poi c’ero io. La nonna diceva che se rimanevo ancora un po' in casa sarei riuscito a farti parlare. La nonna esagerava sempre, anche perché tu, in fondo, parlavi lo stesso. Con le orecchie e con gli occhi.
Bastava poco per capire se avevi combinato qualcosa. Come quella volta che entrai in casa ed eri sul tappetto, orecchie indietro e muso basso. Sul tavolo due piatti puliti. Chiesi alla nonna dov’era il mio pranzo e lei rispose che c’erano zucchine e uova sode sul tavolo. Gli dissi che sul tavolo non c’era niente, lei venne a guardare e vide i due piatti intonsi. Tu ti alzasti e ti diressi basso-basso alla finestra.
Non parliamo del piccolissimo incidente che abbiamo avuto in giardino. Mi è costato una tibia e un malleolo, ma ora posso tranquillamente dire che non rimarrai solamente nel mio cuore, mi rimarrai impresso, per sempre, anche alla caviglia.
Tu che sei arrivato che avevi 4 mesi e pesavi 20 kg, che ne sei diventato 40 di kg e sei passato da dormire con le mucche all’Eremo, al dormire con me nel divano letto in montagna, steso come un umano, ma al contrario di un uomo, senza sbavare, almeno a letto.
Tu cane strano come disse la Marinella quando prese Jack tuo fratello.
Testa da pastore tedesco, corpo quasi da alano, maculato da setter, con una coda di 60 cm sempre scodinzolante. Un bimbo in montagna ti vide e disse alla madre: “Guarda Mamma una mucca piccola.”
Te ne sei andato una mattina di Febbraio 2016.
Ed è solo un destino forzato il mio, ma è incredibile che io ti abbia dato il nome di un grande cestista Europeo e tu sia volato in cielo il giorno del compleanno del più grande cestista esistito al mondo.
Ieri sera appena arrivato, mi sono seduto in cucina aspettando Fabio si preparasse, sei entrato dal giardino e mi sei venuto subito a salutare. Ti facevo la coccola, mentre hai cominciato a perdere sangue. Te ne sei accorto e sei andato subito sul tuo tappeto. Stavolta niente orecchie indietro. Testa alta, occhioni spalancati quasi a dire, non è successo niente, sto bene, non portatemi dal veterinario. Ma eri una fontana.
Hai tirato come quando andavamo a correre o a far le tonde per uscire dall’ambulatorio, che avevi artisticamente ritinteggiato di rosso. Ci hai guardato mentre salivi in ascensore, ma non hai fatto storie.
Stamattina quando sei entrato in ambulatorio, non ci hai considerato. Hai cominciato a girare in tondo, con le zampe dietro tutte piegate, il culo basso e annusavi la porta. Ci guardavi, giravi, annusavi la porta e ci guardavi nuovamente. Non riuscivamo a fermarti. Finché non è arrivato il dottore. Hai visto la siringa, ti sei allontanato dalla porta e sei venuto con il muso tra me e la Bitta. Mi hai guardato dritto negli occhi, ti abbiamo coccolato e ti sei addormentato.
Ora sei lassù con la nonna, potrai fargli la festa che mai ti sei osato farle. In piedi su due zampe, con quelle anteriori ad abbracciarla e con il muso a baciarla. Come facevi a noi, finché le anche han retto. A tavola di fianco a lei, aspettando la sua “scarpetta” che ti lancerà, perché quei tuoi dentoni, un po' gli faranno ancora paura. Falle tante feste, salutala e fai il bravo, come sei stato in questa vita.
Fai il bravo anche con tuo fratello Jack, perché a sto giro, ti assicuro, che non vi vengo a dividere.
Sei stato un bravissimo cane, sei stato molto di più.
Grazie di tutto, ciao mio cagnone!
Per
Zoran Pasini Ottobre2000-Febbraio2016.
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